Doyle F. Brunson nasce il 10 agosto 1933 a Longworth, nel Texas. Per molti potrebbe non essere un caso che sia nato nella notte delle stelle cadenti, perdipiù in un territorio che ha dato il nome alla principale variante del poker.

Sin dalla giovane età, Brunson dimostra una grande passione e spiccate abilità nello sport a tutto tondo, con un particolare focus sull’atletica leggera e sulla pallacanestro. Basti pensare che, proprio nel basket, Doyle viene chiamato a far parte della squadra rappresentativa del Texas, mentre nel 1950 vince un’importante gara a livello statale correndo un miglio (circa 1,6 km) nel tempo di 4 minuti e 43 secondi. Come logica conseguenza dei suoi successi sportivi, sono tanti i college a contendersi la possibilità di averlo tra le proprie fila di studenti: alla fine Brunson opta per la Hardin-Simmons University di Abilene, rimanendo così nel Texas. In quegli anni Doyle attira seriamente l’attenzione dei Minneapolis Lakers (che dal 1960 cambieranno sede, prendendo l’attuale nome di “Los Angeles Lakers”), ma un brutto infortunio al ginocchio stronca drammaticamente il suo sogno di diventare un giocatore di NBA. Le avversità a livello fisico e sportivo non gli impediscono tuttavia di completare il proprio percorso di studi: nel 1955, a un anno di distanza dalla laurea triennale, Brunson consegue anche la magistrale in scienze dell’educazione, con l’idea di trovare un lavoro come dirigente scolastico. Gli imperscrutabili risvolti della vita hanno però ben altro in serbo per Doyle.

Già prima dell’infortunio, Brunson aveva scoperto la passione (e il talento) per il gioco che lo renderà celebre nei decenni a venire. I suoi primi passi li compie nel poker tradizionale a cinque carte e le vincite iniziali gli consentono di affrontare le spese ospedaliere dovute al problema al ginocchio. Nel frattempo, a conclusione del percorso accademico, Doyle intraprende l’attività di rappresentante di commercio. Tuttavia, proprio in occasione del primo giorno di lavoro, Brunson viene invitato a un incontro di Seven Card Stud, in cui finisce per aggiudicarsi in un colpo solo una vincita superiore al suo salario mensile. Non passa molto tempo prima che arrivi la decisione di lasciare l’azienda per dedicarsi al poker a livelli professionistici, in un contesto molto diverso da quello che conosciamo noi oggi. 

I primi tempi sono caratterizzati dai viaggi in giro per il Texas alla ricerca di incontri di poker privati (e spesso illegali), cui non mancano imbroglioni e altre figure poco raccomandabili. La pericolosità delle partite dell’epoca è resa perfettamente dalla costante paura di subire una rapina a seguito di una vincita sostanziosa. Ad accompagnarlo nell’avventura c’è l’amico Dwayne Hamilton: i due amplieranno poi i propri orizzonti, raggiungendo anche l’Oklahoma e la Louisiana, prendendo via via parte a sfide sempre più importanti e incrociando sul proprio cammino altri professionisti del calibro di Amarillo Slim e Sailor Roberts. Sarà proprio con questi, oltre che con Johnny Moss, che Brunson si coalizzerà per i viaggi successivi, mentre Hamilton si tirerà in disparte, preferendo concentrare la propria attività nella città di Fort Worth, dove si era creato il sodalizio con Doyle. Dopo un lungo periodo di sei anni dedicato all’accumulazione del denaro necessario, Brunson e colleghi si dirigono per la prima volta a Las Vegas, covando grandi aspettative di successo. La realtà gioca purtroppo un brutto scherzo ai ragazzi, che perdono l’intera ragguardevole somma (a sei cifre) e decidono di porre fine al progetto di lavorare e giocare insieme. La disfatta economica non intacca tuttavia la loro amicizia. 

Al di là degli alti e bassi ai tavoli da gioco, quegli anni riservano anche una dolce sorpresa a Doyle, che nel 1959, in occasione di una festa a San Angelo, conosce la futura moglie Louise, con cui convola a nozze nel 1962. Pochi mesi dopo il matrimonio, ormai in procinto di diventare padre, Brunson deve combattere contro un temibile tumore al collo. L’infausta diagnosi dei medici non lascia adito a molte speranze, tant’è che appare difficile che la futura leggenda del poker viva abbastanza da assistere alla nascita della primogenita. A seguito di un’operazione con poche prospettive, tuttavia, Doyle guarisce in maniera assolutamente imprevista (a tal proposito si dichiarerà sempre convinto di aver ricevuto la guarigione in dono da Dio), potendo tornare alla vita di sempre. Nel corso degli anni ’60 diventerà padre di tre figli: Doyla (scomparsa a 18 anni per un problema cardiaco), Pamela e Todd. Questi ultimi due intraprenderanno anche la strada del poker professionistico: a tal proposito si segnala che Todd conquisterà un braccialetto grazie alla vittoria nel $2.500 Omaha High-Low Split delle WSOP 2005, mentre nel 2007 Pamela finirà “in the money” nel Main Event, raggiungendo nell’occasione un piazzamento migliore rispetto al padre e al fratello.

Todd Brunson                        Todd Brunson

 

Nel 1970 Doyle Brunson prende parte alla prima, storica edizione delle World Series of Poker. All’epoca i partecipanti sono in numero esiguo, ma non mancano all’appello gli amici Slim, Roberts e Moss, con quest’ultimo che si aggiudica il titolo ufficioso di “campione del mondo del poker” (assegnato per la prima e unica volta sulla base dei voti dei giocatori, che nell’occasione non coincide con il vincitore effettivo del torneo). Negli anni successivi Doyle diventa una presenza fissa della manifestazione, spesso raggiungendo il tavolo finale dei vari eventi, prima di conquistare per due volte consecutive il Main Event, a cavallo tra il 1976 e il 1977. Le modalità che lo portano alla vittoria conferiscono un ulteriore tocco di immortalità all’evento: in entrambe i frangenti, infatti, Brunson ha la meglio nel round finale grazie a un full messo a segno con un 10-2 in mano. Se avete mai sentito parlare di “Doyle Brunson hand”, adesso conoscete perfettamente gli antefatti. In quelle due edizioni Doyle riesce a conquistare altri due braccialetti, con la vittoria nel $5.000 Deuce to Seven Draw (1976) e il successo nel $1.000 Seven Card Stud Split (1977). L’edizione del 1978, seppur meno fibrillante rispetto agli anni precedenti, lo vede aggiudicarsi il $5.000 Seven Card Stud, che gli frutta il quinto braccialetto della carriera. La marcia nella conquista dei titoli WSOP prosegue inarrestabile nell’edizione successiva, grazie al primo posto, in coppia con Starla Brodie, nel $600 Mixed Doubles di Seven Card Stud. Il 1979 si rivela un anno significativo per Brunson anche per la pubblicazione del suo Super/System: si tratta di uno dei primi libri di strategia pokeristica mai pubblicati; il volume è ulteriormente arricchito dal contributo scritto di altri campioni ed esperti del gioco e, malgrado il passare del tempo, rappresenta ancora oggi un punto di riferimento per tutti gli appassionati del genere (al punto tale che Doyle si persuaderà di essersi dato la zappa sui piedi con la pubblicazione del libro, finendo per perdere più soldi di quelli ricavati dalle vendite). Nel Main Event del 1980 Brunson è costretto ad arrendersi nel testa a testa finale con Stu Ungar, alla sua prima affermazione nelle World Series of Poker. Negli anni successivi arrivano altri grandi piazzamenti nell’evento principe della manifestazione, tra cui un quarto posto nel 1982 e una terza piazza nel 1983, ma occorre aspettare il 1991 per la conquista del settimo braccialetto, in virtù del successo nel $2.500 No Limit Hold’em. Prima che si arrivi al cambio di millennio, c’è tempo per l’ottavo braccialetto, che arriva sulla scorta del successo nel $1.500 Seven Card Razz del 1998. I primi anni 2000 regalano a Brunson alcuni dei suoi più grandi risultati. Nel 2003, il campione texano (e del Texas Hold’em) si porta a casa il nono braccialetto con la vittoria nell’evento H.O.R.S.E.: trattandosi di un torneo misto a cinque varianti, è un ottimo banco di prova che testimonia la grande versatilità del vincitore. Il 2004 segna il più grande successo dal punto di vista economico grazie al primo posto nell’evento Legends of Poker del World Poker Tour, che gli frutta una remunerativa vincita di circa 1,2 milioni di dollari.

Poker is war

La mattina del 1º luglio 2005 Brunson si aggiudica l’evento del $5.000 No Limit Shorthanded Texas Hold’em, conquistando al contempo il decimo e ultimo braccialetto WSOP della sua carriera, eguagliando il record assoluto stabilito soltanto pochi giorni prima da Johnny Chan (il primato resisterà fino al 2007, quando Phil Hellmuth metterà le mani sul suo undicesimo braccialetto). 

Nel luglio del 2013, a poche settimane dallo spegnere 80 candeline, Doyle riesce ad arrivare a premio in occasione dell’evento principale delle World Series of Poker, ottenendo un simile risultato per il quinto decennio consecutivo. Alla manifestazione del 2018 si posiziona al sesto posto nel torneo $10.000 No Limit 2-7 Lowball Draw: sembra l’epilogo di un’incredibile storia d’amore, con Brunson che annuncia il ritiro alla soglia degli 85 anni. 

Nonostante le grandi avversità che continueranno a perseguitarlo (nel dicembre del 2020 Doyle sconfiggerà il cancro per la quarta volta), la grande passione per il gioco lo spingerà a tornare sui suoi passi: si arriva così allo scorso novembre, quando “Texas Dolly” (il cui soprannome deriva da una storpiatura involontaria da parte del commentatore Jimmy Snyder) torna a timbrare il cartellino alle World Series of Poker, partecipando per un’ultima (?) volta al più grande evento su scala mondiale. La sua avventura si conclude mestamente nella seconda giornata del torneo, perdendo una mano al cospetto di McKenzie. Nella memoria dei tifosi rimane impressa l’immagine di Brunson che, col suo proverbiale cappello da cowboy, si alza dal tavolo in quella che potrebbe essere stata la sua ultima apparizione sulla grande scena del poker. 

Nel corso della carriera Doyle si è portato a casa un totale di oltre 6 milioni di dollari in tornei live, conquistando 17 titoli e raggiungendo la zona a premi in 66 occasioni differenti. 

La dura legge del tempo non risparmia neppure un monumento della sua statura: questo, tuttavia, non ci impedisce di coltivare la speranza di rivedere, anche solo un’altra volta, “Texas Dolly” al varco di una sala da gioco, ravvivando una storia cominciata ancor prima della nascita delle World Series of Poker.