Registrato all’anagrafe con il nome completo di Stuart Errol Ungar, il predestinato nasce a Manhattan, New York, l’8 settembre 1953 da una famiglia di origini ebraiche. Il padre, usuraio e allibratore, gestisce un bar-club nel quale viene praticato anche il gioco d’azzardo. Viste tali circostanze, e a dispetto dei tentativi dell’uomo di tenere il figlio lontano da questo tipo di ambienti, Stu si ritrova di fatto esposto al mondo delle scommesse, iniziando in seguito a prendere parte a incontri di gin rummy e conquistando risultati che subito ne manifestano il talento e la propensione per i giochi di carte; a tal proposito si segnala la vittoria in un torneo locale all’età di soli 10 anni. 

Tuttavia, non è solo ai tavoli da gioco che il giovane Ungar mette in mostra le proprie capacità: la sua intelligenza fuori dal comune, infatti, gli permette addirittura di saltare un anno di scuole elementari, sebbene nel periodo delle superiori prenda la decisione di abbandonare precocemente gli studi allo scopo di dedicarsi appieno al gioco d’azzardo. 

La vita di Stu subisce un primo vero duro colpo nel 1968, quando la morte del padre Ido, dovuta a un attacco di cuore, sconquassa il quadro familiare, peraltro già aggravato dall’inabilità della madre che era stata precedentemente colpita da un ictus. La futura leggenda del poker si ritrova così improvvisamente investita dalla grande responsabilità di dover provvedere economicamente a sé stesso e alla sua famiglia (compresa la sorella), a dispetto dell’età ancora immatura. Il percorso di crescita forzata di Stu si intreccia con un inserimento sempre più profondo e costante nella scena del gioco d’azzardo di New York fino all’età dei 18 anni, quando si imbatte in Victor Romano, capo di una gang e tra i migliori giocatori di carte in circolazione a quei tempi. I due hanno in comune una grande passione e propensione per il calcolo delle probabilità nel gioco d’azzardo, il che costituisce uno dei motivi per cui non solo stringono una forte d’amicizia, ma addirittura, stando perlomeno ad alcune testimonianze, Romano assume una sorta di ruolo da mentore all’interno di un rapporto divenuto ormai particolarmente stretto.

Con il supporto del boss criminale, o comunque delle sue capacità ai tavoli da gioco, Stu acquisisce subito le capacità giuste per sfidare con successo qualsiasi tipo di avversario, vincendo anche con notevole costanza nelle partite di gin runny. Oltre al contributo di Romano, nel raggiungimento di tali risultati risulta indubbiamente decisivo anche lo straordinario talento di Ungar. In queste prime fasi della sua carriera, Stu si distingue anche negativamente per l’incapacità di vincere o perdere con stile: durante gli incontri, infatti, è solito tenere un atteggiamento sfacciato che lo porta a criticare apertamente le giocate degli avversari che ritiene inferiori a lui (quindi praticamente chiunque). Tuttavia, il suo forte spirito competitivo e il totale protendimento verso la vittoria sono perfettamente riassumibili in una sua celebre citazione: “Non ho mai voluto essere un buon perdente. Un giocatore che sa perdere non è altro che un perdente, per l’appunto”.

Stu Ungar

I grandi successi nel gin rummy non impediscono a Ungar di accumulare debiti consistenti scommettendo sulle corse. Questa spinosa situazione economica lo porta ad abbandonare la Grande Mela e a cercare maggior fortuna a Miami. La città della Florida, però, risulterà essere una semplice tappa provvisoria nel percorso di Stu, che nel 1977 si trasferisce a Las Vegas. Contrariamente a New York, la cui legislazione vieta nella maggior parte dei casi l’esercizio del gioco d’azzardo, la nuova dimora di Ungar gli consente di coltivare la propria passione senza il rischio di alcuna conseguenza penale. Il campione di Manhattan ha inoltre la possibilità di sfidare l’élite mondiale, manifestando le proprie capacità in un contesto che esulava da quello della sua città natale, dove a suo tempo si era ampiamente affermato come uno dei migliori giocatori locali.

Al di là delle vicende legate alle carte, Las Vegas rappresenta per Stu un importante crocevia anche dal punto di vista sentimentale: qui infatti avviene un secondo incontro con l’ex fidanzata Madeline Wheeler: i due si sposeranno nel 1982 e avranno poi una figlia, Stefanie, cui il padre sarà molto legato. Ungar adotta anche il figlio che Madeline aveva avuto da un precedente matrimonio: il ragazzo, Richie, eredita così il cognome della stella newyorkese.

Tornando al discorso della carriera professionale, Stu in un primo momento continua a vincere incessantemente nel gin rummy, sulla falsariga di quanto mostrato prima di cambiare la sua realtà abitativa. Sotto un certo punto di vista, però, la bolla della sua imbattibilità scoppia dopo aver asfaltato diversi avversari di altissimo profilo, tra cui Harry Stein, all’epoca ritenuto il miglior giocatore del mondo. La temibile aura di Ungar dissuade quasi tutti dal tentare l’improvvida impresa di affrontarlo nei cash game o anche solo di prendere parte a tornei che vedano il suo nome tra quelli degli iscritti, nonostante lui si offra ripetutamente di giocare in condizioni di svantaggio (quale la scelta della posizione di mazziere). Si viene dunque a creare il paradosso per cui molti casinò di Las Vegas chiedono a Stu la cortesia di non partecipare agli eventi organizzati in loco.

Vedendosi preclusa la possibilità di continuare a macinare soldi sfruttando la sua supremazia ormai indiscussa nel gin rummy, il newyorkese non ha altra scelta che cambiare rotta: la sua scelta ricade così sul poker, in cui dimostra ancora una volta le sue grandi capacità ad ampio spettro nei giochi di carte. Non passa molto tempo, infatti, prima che Ungar riesca a padroneggiare i principi e i segreti del suo nuovo campo di specializzazione. 

Il 1980, nello specifico, è l’anno del suo ingresso dirompente nel mondo del poker. In quei giorni il Texas Hold’em domina la scena del gioco a Las Vegas, seducendo anche l’ormai ex campione di gin rummy. Stu si fa subito notare conquistando il main event delle World Series of Poker del 1980 con un testa a testa vincente sul grande giocatore Doyle Brunson. Tale straordinario risultato lo consacra come il più giovane campione di sempre nella storia del torneo, almeno fino a quel momento, il che, considerando anche l’aspetto particolarmente fanciullesco, gli procura il soprannome di “The Kid” (e non sarà certo l’unico “bambino” da quelle parti negli anni a venire).

Non pago del successo precoce, Ungar bissa la vittoria nell’edizione successiva delle WSOP, battendo questa volta Perry Green nell’heads-up finale. Il giorno prima aveva invece conquistato il secondo braccialetto WSOP della sua carriera, con la vittoria del $10.000 Deuce to Seven Draw in un testa a testa contro Bobby Baldwin, campione nel 1978. Occorre rilevare, tuttavia, come ci sia stato il rischio serissimo che il campione rimanesse a secco di successi in quei giorni: nella settimana precedente all’evento, infatti, Ungar si era reso protagonista di un episodio riprovevole, sputando in volto a un croupier all’interno del casinò Binion’s Horseshoe dopo aver perso un pot considerevole in una partita ad alti stakes. In un primo momento viene punito con una squalifica, salvo poi essere graziato su intercessione del figlio di Benny Binion (proprietario del luogo del misfatto). 

Nel 1983 arriva il quarto braccialetto WSOP, questa volta con un successo su Dewey Tomko nell’evento $5.000 Seven Card Stud. Tale risultato è un’ulteriore riprova della versatilità del campione newyorkese, capace di muoversi con grande disinvoltura anche tra le varie tipologie dei tornei di poker

“The Kid” però non si vuole far mancare proprio nulla, ed è così che in quegli stessi anni si distingue anche per le sue straordinarie capacità di contatore di carte (probabilmente dovute a un quoziente intellettivo e a una memoria fotografica fuori dal comune), diventando l’incubo dei casinò per le partite di blackjack (a tal proposito ci sarà anche qualche controversia legale con le case da gioco). Rimane celebre un episodio risalente al 1977, quando Bob Stupack, proprietario di un casinò, lo sfida a contare le carte di un sabot composto da sei mazzi e a indovinare l’ultima carta rimasta: in ballo c’è una scommessa da 100.000$ dollari, che Stu puntualmente vince.

I suoi grandi successi a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio del decennio successivo hanno purtroppo vita breve a causa delle nubi che iniziano ad addensarsi nella sua vita. La madre muore nel 1979 e non passa molto tempo prima che Stu inizi a fare uso di cocaina, mal consigliato da qualche collega che vedeva nella droga un modo efficace per reggere alle sessioni estenuanti degli incontri di poker. Ungar finisce presto nel vortice della tossicodipendenza, da cui non uscirà mai.

Nel 1986 arriva la fine del matrimonio con Madeline, mentre nel 1989 il figlio adottivo Richie si toglie la vita per ragioni mai chiarite. Questo porta a un’ulteriore recrudescenza nell’abuso di cocaina da parte di Stu, che un giorno, nel corso del Main Event WSOP del 1990, viene trovato privo di sensi nella sua camera d’albergo a causa di un’overdose. Fortunatamente riesce a riprendersi e, come se non bastasse, finisce l’evento al nono posto, a dispetto delle circostanze surreali. 

Il problema della tossicodipendenza, ormai divenuto di pubblico dominio, lo debilita palesemente dal punto di vista fisico, tant’è che molti suoi amici temono seriamente che Stu non possa arrivare ai 40 anni d’età. Nonostante i suoi sforzi e le richieste della figlia Stefanie, non riesce mai a rimanere sobrio per più di qualche settimana, e i soldi che pure riesce ad aggiudicarsi col poker vengono sperperati per l’acquisto di droga e per le scommesse ippiche e sportive. Molti suoi cari si offrono di pagargli un percorso di riabilitazione in qualche centro di disintossicazione, ma Stu si oppone, riportando l’esperienza di qualche conoscente secondo cui questo tipo di strutture nasconde uno spaccio di droga maggiore di quello che imperversa nelle strade.

Come facilmente immaginabile, Ungar finisce presto sul lastrico. Nel 1997, tuttavia, arriva il canto del cigno, l’ultimo capolavoro della sua carriera da poker pro. Nonostante la disastrosa situazione economica, riesce a prendere parte al Main Event delle World Series of Poker, iscrivendosi all’ultimo minuto con il buy-in di 10.000$ messogli a disposizione dall’amico Billy Baxter. Il primo giorno del torneo Stu appare visibilmente stanco, essendo rimasto sveglio nelle 24 ore precedenti nel disperato tentativo di trovare il denaro richiesto per la partecipazione all’evento. Gli capita addirittura di addormentarsi sul tavolo, ma anche grazie agli incitamenti di un paio di amici, tra cui lo stesso Billy, riesce a superare la prima giornata. Nelle successive fasi del torneo Ungar si mostra sempre più lucido e fresco, racimolando sempre più fiches e presentandosi al tavolo finale in posizione di leader. Qui ha la meglio nell’ultima mano contro John Strzemp, tornandosi ad aggiudicare il torneo a distanza di 16 anni e diventando l’unico giocatore di sempre, assieme a John Moss, a conquistare per tre volte il Main Event WSOP. Dedica subito la vittoria alla figlia, mostrando alle telecamere una sua foto che aveva tenuto nel portafogli per tutta la durata del torneo. Il premio di 1.000.000$ viene spartito in parti uguali tra lo stesso Ungar e l’amico-finanziatore Baxter. Quest’ultimo clamoroso successo, visto il grande lasso di tempo intercorso dalle vittorie precedenti porta la stampa a ribattezzare Stu “The Comeback Kid”.

Stu Ungar

Il campione newyorkese, tuttavia, non riesce a scappare dai suoi fantasmi. Torna subito a scialacquare il denaro vinto in droghe e scommesse. Nel 1998 sembra pronto a partecipare nuovamente alle WSOP con l’appoggio economico di Baxter, ma in extremis decide di tirarsi indietro, non sentendosi pronto a un evento di tale portata, visto l’abuso di sostanze psicotrope nelle settimane precedenti. In seguito la situazione va via via degenerando: Stu si presenta sempre di meno in pubblico e le poche volte che viene visto in giro, lo fa per elemosinare del denaro adducendo come motivo il desiderio di tornare ai tavoli da poker. Pare che il vero motivo, in realtà, fosse quello di acquistare del crack, su cui “The Kid” aveva ormai ripiegato visto che l’abuso prolungato di cocaina gli aveva causato dei danni permanenti alle narici. In questo periodo viene addirittura arrestato per possesso di stupefacenti.

Il triste epilogo della vita di uno dei più grandi campioni di tutti i tempi porta la data del 22 novembre 1998. Stu viene trovato a terra, privo di vita, nella sua camera dell’Oasis Motel a Las Vegas. L’autopsia rileva tracce di droga nel sangue, ma non tali da aver determinato direttamente la morte. Il medico conclude che il cuore era collassato a causa del prolungato abuso di stupefacenti nel corso degli anni. 

Tutto il mondo del poker si unisce nel cordoglio e organizza una raccolta di fondi per organizzare il funerale di Ungar, rimasto senza averi, nonostante i premi acquisiti in carriera col poker per un totale di circa 30 milioni di dollari (secondo le stime). A tal proposito, molti ricordano anche la sua grande generosità nei confronti di amici, conoscenti o persone estranee. Lascia un segno indelebile nella storia del gioco, sebbene la minor popolarità del poker a quei tempi non gli abbia mai consentito di diventare una sorta di superstar, come accade invece per i migliori giocatori di oggi. Ritenuto da molti come il migliore di sempre, Ungar nel 2001 viene introdotto nella Hall of Fame del poker.

Per ulteriori approfondimenti biografici, si segnala l’esistenza di diversi libri e film documentari, tra cui la pellicola High Roller: The Stu Ungar Story, diretto da A. W. Vidmer e distribuito nel 2003.